Mah. Poi aggiungeremmo anche mah. E per stare sul sicuro pure un altro mah.
Partiamo dal finale: bruttino, non troppo comprensibile (perché accetta di fare il duello?), sbrigativo, nel montaggio e nel racconto, ma comunque in linea con un film che ogni tanto procede a strappi (scelta voluta o ritocco in fase di montaggio?), con scene interrotte dal buio dello schermo, quasi il regista spegnesse la luce e dicesse: ok, andiamo avanti, questa scena non ha grande importanza (se è una scelta, applausi sinceri).
Lo stiamo complicando troppo, partiamo dalla trama: sicario di professione accetta un incarico che lo metterà nei guai.
Diverse cose non si capiscono: come fa a essere a corto di soldi uno che non vive nel lusso e fa il suo mestiere, che immaginiamo non sia a salario minimo? Perché il committente gli taglia il palmo della mano, come fosse una cosa normale? Chi è che a un certo punto lo scopre, con tanto di foto? A che pro?
Va detto che il film ci tiene a non essere chiarissimo e la testimonianza è il vero punto di forza, il tocco di soprannaturale, che autorizza a spiegare ancora meno. Ottima la durata contenuta, non eccezionale il protagonista (eufemismo), ma trattandosi di prodotto a basso costo forse non era possibile avere di meglio, forse.
Concludendo: il film si può tranquillamente guardare (finale a parte), ma l’odore di occasione sprecata o gestita male è forte.
Kill list (2011) – di Ben Wheatley