Il cinema rappresentato al cinema “tira” sempre. Non fa eccezione “Il sol dell’avvenire”, che pur parlando col sorriso sulle labbra di tante altre cose, racconta di un regista alle prese con problemi sul set e nella vita privata. Tra situazioni inattese (il tocco di musical sulle note di Fabrizio Moro e Franco Battiato), discussioni politiche e genialate pure (il “pippone sulla violenza con tanto di telefonata a Martin Scorsese), c’è sicuramente anche qualche supercazzola capace di mandare in visibilio i critici esperti con le loro re(interpretazioni), ma questo non è certo un demerito, anzi.
Poi c’è l’effetto Nanni Moretti, del quale è impossibile non tenere conto. Recita così “male” e parla così “strano” che è difficile non concentrarsi su di lui. Un po’ come accadeva coi film di Totò: così diverso da chi gli sta attorno da rubare la scena, volendo o non volendo, piacendo o non piacendo.
Ultimissima nota sul finale, incomprensibile per chi non conosce a fondo l’opera morettina (come noi): che ci fanno tutti quegli attori? Poi abbiamo capito, anzi, l’abbiamo letto su internet. Quindi? Testamento o botta di autoreferenzialità? Eventualmente al prossimo film di Moretti l’ardua sentenza.
Il sol dell’avvenire (2023) – di Nanni Moretti