Al netto della bravura del giovane protagonista rapito, del fascino dell’inquietante maschera del rapitore e di un film tecnicamente di qualità, ci sono diverse cose che non quadrano e che impediscono una visione libera da diversi “possibile che?”.
Partiamo dalla storia: l’ultima vittima di una rapitore-uccisore seriale, chiuso in uno scantinato, sente le voci di chi l’ha tristemente preceduto, tramite un telefono…scollegato dalla linea.
Bene, ora i tanti “possibile che?”.
Possibile che in una piccola comunità vengano rapiti ragazzini e questi continuino ad andare in giro da soli? Genitori? Forze dell’ordine? Coprifuoco? Nulla di tutto ciò?
Possibile che il rapitore agisca in pieno giorno, con un furgone nero, e nessuno veda niente?
Possibile che l’ultimo rapito riesca a rimuovere la grata dell’unica finestrella dello scantinato (e a nasconderla), e il rapitore non se ne accorga?
Possibile il rapitore lasci suo fratello (ignaro di tutto) nella casa in cui ha sepolto i corpi dei precedenti rapiti?
Proseguiamo?
Beh sì, dobbiamo proseguire: possibile che il titolo italiano sia “Black phone”, anziché l’originale “The black phone”. Che senso ha? O lo traduci o lo lasci com’è, cosa cambia togliendo un “The”?
Black Phone (The Black Phone, 2021) – di Scott Derrickson