In occasione del matrimonio di una influencer su un’isola, si incontrano-scontrano due famiglie; sullo sfondo il valore della memoria (l’isola era confino fascista) eccetera eccetera.
Un appunto: perché le parolacce, perché il cinema continua a inseguire il linguaggio reale, anziché cercare di ripulirlo almeno un po’? Cosa guadagna lo splendido discorso liberatorio della Fanelli sull’umanità, col turpiloquio? Lo rafforza? Come i comici che utilizzano la parolaccia come intercalare, per strappare mezzo sorriso in più? Per non parlare della “gara” a chi ne pronuncia di più fra Sabrina Ferilli e Christian De Sica; d’accordo che interpretano due cafoni e ci sono “esigenze” di copione, ma insomma…
Decisamente più apprezzabili lo sfascio, la malinconia e l’amarezza che regnano nel finale.
Un altro ferragosto (2023) – di Paolo Virzì