Decisamente più fruibile la prima parte, in cui l’ex orchestrale cerca di nascondere la natura della nuova occupazione alla moglie e in più deve fare i conti con un eccentrico datore di lavoro; molto più pesante la seconda parte, più seria e “filosofico-poetica”.
Troppe le due ore di durata, forse eccessivo l’Oscar 2009 (miglior film straniero), ma Departures ha il non indifferente merito, con eleganza e senza nessuna concessione al voyeurismo, di ricordare a tutti quanti che esiste la morte.
Departures (Okuribito, 2008) – di Yōjirō Takita