Tre ore di qualcosa a metà fra un documentario e un film, pluripremiato e vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 1978.
Tre ore di qualcosa a metà fra un documentario e un film in dialetto bergamasco, con sottotitoli, che racconta di contadini che fanno i contadini: lavorano, sbrigano faccende, si sposano e fanno figli, pregano, decapitano un’oca, sgozzano un maiale, piantano semi, raccontano favole ai bambini e fanno tutto quello che ci stiamo dimenticando.
Per un fenomeno soprannaturale che non siamo in grado di individuare, “L’albero degli zoccoli” si può guardare, naturalmente a puntate, tutto in una volta non crediamo sia possibile. Noi ad esempio abbiamo impiegato più o meno quattro giorni. Quindi ok, bravissimo il regista e gli attori-non attori (contadini veri), spiace ammetterlo ma ha il suo indubbio fascino, anche se potrebbe trattarsi di semplice soddisfazione dello spettatore, a visione completata, per l’impresa compiuta.
Ma in ogni caso: tre ore (e quattro minuti)? TRE ORE (e quattro minuti)? T-R-E O-R-E (e quattro minuti)?
L’albero degli zoccoli (1978) – di Ermanno Olmi