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Film a caso in pillole: Sperduti a Manhattan
Commediola sufficientemente fastidiosa, infarcita di gag quasi tutte dimenticabili, senza rimpianto.
Marito e moglie, a New York per un colloquio di lavoro, si trovano a dover affrontare una serie di disavventure.
Come si faccia ad arrivare al titolo italiano “Sperduti a Manhattan”, partendo dal titolo originale, che non contiene la parola “Manhattan”, è un affascinante mistero, forse addirittura l’elemento più divertente del film.
Da salvare c’è poco, giusto la riunione dei malati di sesso e il personaggio del direttore d’albergo, che però accetta di farsi ricattare dalla moglie del protagonista senza alcuna prova a suo carico (guizzo di sceneggiatura). Insolitamente insopportabile Steve Martin, che spinge all’eccesso una mimica facciale spesso irritante.
Sperduti a Manhattan (The Out-of-Towners, 1999) – di Sam Weisman
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Film a caso in pillole: No negociable
Ciò che lo rende sopportabile, a tratti addirittura piacevole, è non solo la durata (inferiore a quella di una partita di calcio), ma anche la sensazione che ci sia una buona idea, che però viene inspiegabilmente abbandonata con un cambio di registro.
Negoziatore in crisi coniugale si ritrova a trattare per il rilascio di un pezzo grosso…e della moglie stessa.
La prima parte, la migliore, cavalca i toni della commedia d’azione, con i litigi marito-moglie in primo piano; da un certo punto in avanti però il film si concentra sulla trattativa per il rilascio e si fa serio, quasi vergognandosi di essere stato commedia. Boh. E un bel boh lo mettiamo anche sul finale, aperto a un capitolo successivo. Scherziamo? Non sei un canto della Divina Commedia.
Bruttino ma bravo il protagonista; rivedibile il resto del cast.
No negociable (2024) – di Juan Taratuto
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Film a caso in pillole: Colazione da Tiffany
Non traggano in inganno i 2 oscar (in categorie minori) e le altre 3 candidature: non è un bel film, ma un film soporifero con il rassicurante e romantico finale che tutti si aspettano.
Lei ha le fattezze di Audrey Hepburn, che interpreta un essere spregevole, uno spirito libero che con la scusa della sbadataggine si fa latrice di messaggi in codice di un malvivente, abbandona gatti e la promette senza sganciarla a chi davvero la ama. Insomma, dovrebbe essere l’eroina con cui empatizzare, ma viene voglia di prenderla a ceffoni. Lui, il monolitico George Peppard (chi?), deve aspettare un’ora e venti minuti per il primo bacio, anche se si capisce benissimo che, dopo tanto penare, porterà a casa il risultato. Insieme fanno cose da sciocchini, tipo rubare maschere da carnevale o far perdere tempo a un commesso di una nota gioielleria. Insomma, verrebbe voglia di prenderli a ceffoni tutti e due.
Sconcertante Mickey Rooney che dovrebbe far ridere interpretando un vecchietto orientale.
Colazione da Tiffany (Breakfast at Tiffany’s, 1961) – di Blake Edwards
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Film a caso in pillole: Vacanze romane
Inspiegabile cult movie altrettanto inspiegabilmente gratificato di 3 oscar e altre 7 nomination. Praticamente, secondo chi ne capisce sul serio di cinema, un capolavoro immortale. Che però fa venire sonno.
La principessa scappa dalla sua prigione dorata e si imbatte, senza saperlo, in un giornalista. A caccia di scoop, forse.
La Roma turistica fotografata in bianco e nero è sicuramente la cosa migliore, assieme a quel che non succede in chiusura. Però anche in questo caso, attenzione: l’ultimissima scena è bella, il finale invece è di una lentezza assassina. Al di là dei dettagli (è un dettaglio?), nel corso di due ore di film non succede granché di interessante, e non ci pare sia questione di contestualizzazione e di età (il film ha più di 70 anni).
Per fortuna, non capendo nulla di cinema, possiamo concederci il lusso di bocciare senza imbarazzi.
Vacanze romane (Roman solida, 1953) – di William Wyler
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Film a caso in pillole: Professore per amore
Nonostante un titolo italiano ridicolo (“Professore per amore” de che?), un buonismo imperante, una durata inopportuna (più di 100 minuti) e il record mondiale di smorfie da parte di Hugh Grant, “La riscrittura” (titolo originale) non solo si può guardare, ma a tratti risulta addirittura piacevole. Forse perché, specie nella prima parte, è accesa la fiammella dell’ispirazione, che emerge nel ritmo dei dialoghi.
Insomma, pur essendo “solo” una commedia, il film ha qualcosina da raccontare.
Sceneggiatore in disgrazia si ricicla, all’inizio senza alcuna voglia, come insegnante di scrittura. Un’avventura con una studentessa movimenta ulteriormente la situazione.
Rimanendo in tema scolastico: promossi Marisa Tomei, Hugh Grant nonostante le smorfie e soprattutto il doppiatore Luca Ward, mai abbastanza celebrato.
Professore per amore (The rewrite, 2014) – di Marc Lawrence
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Film a caso in pillole: Deadpool & Wolverine
Incomprensibile, ma ugualmente godibile.
I dettagli della missione salva-universo li hanno capiti giusto lo sceneggiatore e forse il regista, machissenefrega? Ci si diverte? Sì, le battute e le picconate alla quarta parete non mancano. Sangue e morti ammazzati ne abbiamo? Sì, certo, arti che volano ci sono. Aggiungete un buon ritmo, che riesce perfino a far dimenticare la durata da denuncia penale (due ore), e musica “spiazzante” (Madonna colonna sonora della resa dei conti è un gioiellino): il cocktail è servito ed è bevibile.
Wolverine e Deadpool, punto. Nel senso che la trama c’è ma non è necessaria, si fracassano l’un altro e fracassano un tot di cattivi, bene così, altro non si può chiedere. E se anche la trama e i mille riferimenti ad altri film e fumetti sono afferrabili nella loro totalità solo dai “malati” del genere, la visione non ne risente più di tanto. Wolverine e Deadpool assieme funzionano bene: uno taciturno e tutto d’un pezzo, l’altro logorroico e discutibile. Il contrasto diverte e fastidioso.
Unico passaggio stonato la supercattiva che non polverizza i nostri eroi, quando ne avrebbe tutta la possibilità e pure l’intenzione, solo grazie a due paroline dolci di Wolverine. Inaccettabile.
Deadpool & Wolverine (2024) – di Shawn Levy
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Film a caso in pillole: Elegia americana
Drammone famigliare sopportabile a stento.
Non aiutano la durata smodata (110 minuti e passa) e un cast non particolarmente bellino e bravino (inspiegabile la candidatura all’oscar per Glenn Close, truccata da vecchissima).
Sintetizzando al massimo: il figlio, che studia legge e riga dritto da sempre, è costretto a occuparsi della madre tossica. Poi ci sono anche la sorella, che a un certo punto mette su famiglia, la supervecchia, eccetera eccetera, caduta e risalita, perdono e riscatto e salvezza e “scegliamo ogni giorno chi vogliamo diventare”, eccetera eccetera eccetera. A quanto pare trattasi della biografia romanzata di JD Vance, il nuovo vice di Donald Trump (eh beh, in effetti chissene…).
Per carità, il film non è fatto male, ma è una discreta pizza, forse avrebbe giovato un protagonista un pochino più carismatico, ma in ogni caso mai lo riguarderemmo o ne consiglieremmo la visione.
Indubbio invece l’apporto didattico: il titolo ci ha spinto a verificare il significato della parola “elegia” sul vocabolario, anche se l’abbiamo già dimenticato.
Elegia americana (Hillbilly elegy, 2020) – di Ron Howard
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Film a caso in pillole: Prey – La grande caccia
Il film, che ha il grandissimo pregio di durare poco (82 minuti), sotto il profilo dell’intrattenimento puro non è neanche malaccio, con un po’ di sforzo si può pure guardare. Il problema è che se lo intitoli “Preda” (lasciamo stare l’indecente versione italiana del titolo) e metti sul manifesto un leone incazzato, devi farmi vedere in primo piano belve feroci banchettare con gli esseri umani, altrimenti è come intitolare un film “L’esorcista” e non metterci dentro una possessione demoniaca.
Intendiamoci, a suo modo la soluzione è geniale (zero smembramenti = risparmio clamoroso sugli effetti speciali), ma la delusione è tanta.
Un piccolo aereo precipita in una dispersa riserva naturale africana. Risultato: tre sbranati lontano dalla telecamera e nemmeno una testa sgranocchiata o qualche metro di intestino da ammirare.
La storia e il regista preferiscono scandagliare l’animo umano e le sue bassezze, risalendo la corrente fino a un finale “alto” di riscatto, martirio e fede. Intento nobilissimo, per carità, machissenefrega?
Prey – La grande caccia (Prey, 2024) – di Mukunda Michael Dewil
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Film a caso in pillole: Dead shot-Vendetta disperata
Note positive: la durata, inferiore a quella di una partita di calcio; pochi fronzoli; le sfumature in tema di buoni (non assoluti) e cattivi (non assoluti).
Note negative: un ritmo altalenante (il film rallenta sul più bello); un prefinale orrendo (riscattato però almeno in parte da un finale “inevitabile”); la sensazione soprannaturale di occasione non del tutto sfruttata, visto la bella storia a disposizione.
Un militare per un tragico errore uccide la donna incinta di un attivista dell’IRA; inizia la personalissima caccia all’uomo per la vendetta, che decolla quando il militare scopre di essere nel mirino.
Buono il cast. Meno buona la versione del titolo italiana, che rielabora “Dead shot” in un fantasioso “Vendetta disperata”.
Dead shot-Vendetta disperata (Dead shot, 2023) – di Charles Guard e Thomas Guard
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Film a caso in pillole: Blood
Una durata immensa (un’ora e quarantadue minuti) per un horror che evidentemente pensa di avere qualcosa di interessante o pauroso da raccontare. Non è così.
Un ragazzino morso da un cane indemoniato (contaminato da un albero maledetto; possiamo fermarci qui con le spiegazioni, vero? Grazie) diventa una specie di vampiro; non ha paura della luce o delle croci, non si trasforma in pipistrello, ma si nutre solo di sangue, meglio se umano.
Per quale motivo la madre – che è infermiera – non si affidi ai medici, tenendo inoltre presente che il ragazzino dopo l’aggressione subita è in un letto d’ospedale, non è dato sapersi. Preferisce riportarselo a casa e procurargli ovviamente di nascosto il necessario per la sopravvivenza.
Il giovine che sorseggia amabilmente e avidamente una sacca di plasma, armato di apposito tubicino, è una roba che non si può vedere.
In tema di cast, scarsino forte il ragazzino, mentre alla madre spetta l’onore delle armi per l’impegno, anche se il risultato è discutibile.
Blood (2022) – di Brad Anderson
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Film a caso in pillole: Sapori e dissapori
Come spesso accade la lunghezza (100 minuti) e l’ammmmmooooore rovinano il film. Intendiamoci, non che “No reservation” (ci rifiutiamo di chiamarlo con il ridicolo titolo italiano “Sapori e dissapori”) faccia gridare allo scandalo per l’occasione sprecata, ma la prima parte si può guardare, la seconda, quella in cui gli innamorati battibeccano, non si sopporta.
Chef misantropa prima si trova a doversi occupare della nipote, poi deve guardarsi le spalle da un vice chef bravo e interessato alle sue virtù (non solo gastronomiche).
Tra Catherine Zeta Jones, sempre truccatissima e rigidissima, e Aaron Eckart, che come attore può fare tutto tranne che lo chef e che gira con un casco semi integrale in testa spacciato da capigliatura, la migliore attrice è la nipote Abigail Breslin (chi?).
Sapori e dissapori (No Reservations, 2007) – di Scott Hicks
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Film a caso in pillole: Paradiso perduto
Un discreto mattone, lungo un’ora e tre quarti.
Lei è un essere spregevole, lo tratta male (ma lui, che non è sveglissimo, scodinzola come un cagnolino), gli lascia intendere chissà che ma alla fine si fa sempre gli affaracci suoi, e lo tortura a fuoco lento. Così dall’infanzia all’età abbondantemente adulta.
Lei è Gwyneth Paltrow, lui è Ethan Hawke, che quando interpreta se stesso da ragazzo gira con un inguardabile capanna di paglia in testa. Ma se non ci fossero di mezzo la bellezza dei due protagonisti (qui al top, il film è del 1998) e i nudi della Paltrow, scriveremmo ben peggio che “un discreto mattone”.
Ottima la traduzione del titolo. Titolo originale: Grandi speranze. Titolo italiano: Paradiso perduto.
Paradiso perduto (Great expectations, 1998) – di Alfonso Cuarón
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Film a caso in pillole: Travolti dal destino
Facciamo finta che non sia un remake e che “Travolti da un insolito destino eccetera eccetera”, il cult di Lina Wertmuller, non esista. Evitiamo qualsiasi confronto che sarebbe perso in partenza.
La domanda, per questo remake, è: che fretta ha? E badate bene, detto da noi, che siamo adepti della sintesi e amanti dei film brevi. Qui però il problema è che la conversione di Madonna (non ce l’eravamo preparata “La conversione di Madonna, giuriamo), da ricca snob a geisha, dispersa su un’isola col marinaio dai modi spicci Adriano Giannini (bravo, lei decisamente meno), avviene troppo rapidamente, facendo perdere spessore a tutta la storia.
Rispetto all’originale poi… ah no, niente, ci siamo ripromessi di non parlarne.
Morale: sono 83 minuti di film che volendo si possono guardare, ma buttati un po’ lì, a casaccio, giusto per vedere l’effetto che fa la coppia Madonna-Giannini.
Ah, comunque pur non conoscendo una sola parola di inglese ci pare improbabile che “Travolti dal destino” sia la traduzione del titolo originale “Swept away”.
Travolti dal destino (Swept away, 2002) di Guy Ritchie
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Film a caso in pillole: Basta che funzioni
Meglio la prima parte, cattiva e politicamente scorretta, che non la seconda da commedia romantica, con tanto di finale rassicurante, ma bel film. Che ha solo 15 anni, ma oggi non sarebbe più proponibile, per via delle offese che il burbero protagonista rivolge a bambini, ai quali insegna a giocare a scacchi, e a quella “subnormale” che diventerà la sua compagna.
Storia d’amore fra la strana coppia composta da un quasi genio anzianotto e una giovane bella e svampita.
L’inizio è folgorante, degno del miglior Woody Allen: prima il protagonista (Larry David chi?, bravissimo) demolisce millenni di teorie buoniste sull’umanità (“La nostra è una specie fallita”), quindi si rivolge direttamente alla telecamera e al pubblico, offendendolo pure. Poi per esigenze di copione, il film si dirige poco per volta e purtroppo verso l’ammooore inatteso e salvifico. Peccato.
Restano comunque diverse gradevoli filosofeggiate, parecchie battute e un ritmo che non viene mai meno.
“Non ho avuto l’amante, ma un interludio di infedeltà”.
Basta che funzioni (Whatever works, 2009) – di Woody Allen
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Film a caso in pillole: Un profilo per due
La cosa migliore è il (pre)finale, difficilmente pronosticabile anche se molto cinematografico (lei non avrà una soglia del perdono un tantinello alta?), ma per il resto non esiste alcun valido motivo per inserire questo film nella categoria di quelli “da vedere”.
Un vecchio rimorchia on line; giunto all’appuntamento, preferisce mandare avanti il giovane che lo ha aiutato a muoversi su internet. Il giovane ha perennemente l’aria scocciato-depressa, e non si capisce bene il perché, ma del resto sul cast è meglio non dilungarsi oltre.
Un profilo per due (Un profil pour deux, 2017) – di Stéphane Robelin
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Film a caso in pillole: Resurrected
Se maneggiato con cura, lo spunto, a rischio boiata, potrebbe in realtà essere oro per un horror. Ma “Resurrected”, film furbino e a basso costo con un protagonista dallo sguardo perennemente spiritato, preferisce lasciare buchi di sceneggiatura modello voragine, concentrandosi più sull’azione che sul naturale aspetto morboso. In più, è tutto girato con la tecnica delle videochiamate, con computer (una nota marca ringrazia sentitamente, si spera abbia contribuito al budget) e telefonino, una roba che scuote il sistema nervoso dello spettatore dalle fondamenta e propone scene ridicole come quella in cui il protagonista, inseguito dalla polizia, scappa continuando la videochiamata, reggendo il telefonino in mano di fronte a sé.
La Chiesa ha scoperto il modo di riportare in vita le persone, ma i risorti si rivelano violenti. O una roba del genere, c’è anche una congiura della Chiesa stessa o qualcosa di simile.
Come funziona la procedura della resurrezione? Top secret. Com’è morire? Non si sa, nessuno lo chiede esplicitamente a nessuno. Com’è la morte? Non si sa, nessuno lo chiede esplicitamente a nessuno. Com’è tornare in vita? Non si sa, nessuno lo chiede esplicitamente a nessuno. Perché i risorti sono in piena forma anche se morti di tumori o incidenti? Top secret.
Eh ma così è troppo facile…
Resurrected (2023) – di Egor Baranov
Film a caso in pillole: Il regno del pianeta delle scimmie
136 interminabili minuti di scimmie che parlano, fanno “uh uh ah ah”, si battono il petto e fanno le scimmie buone (quelle buone) e le scimmie cattive (quelle cattive). Che uno potrebbe obiettare: vabbé, ma se guardi un film della saga del Pianeta delle Scimmie mica puoi trovarci canguri con la cravatta o cinghiali in doppiopetto. Giusto. Il fatto è che, come avrete già intuito, stiamo parlando del nulla perché, anche volendo, non sapremmo di cos’altro parlare.
L’attenzione è andata a farsi benedire quasi subito, nulla ha catturato la nostra attenzione al punto da farci interessare alla vicenda raccontata. Abbiamo capito che, in questo mondo abitato da scimpanzé umanoidi e mini king kong, le scimmie sono intelligenti e gli esseri umani no (beh, anche nel mondo reale…); lo dicono dopo più di un’ora e mezzo, ma a dire il vero c’era scritto pure all’inizio, sullo schermo, quindi magari non serviva farci un film così lungo.
Improponibile.
Il regno del pianeta delle scimmie (Kingdom of the planet of the apes, 2024) – di Wes Ball
Film a caso in pillole: Divorzio in nero
Qualche giorno fa abbiamo attribuito a “Space Cadet” la palma di peggior film visto nel 2024 (e forse non solo nel 2024). Rettifichiamo: “Divorzio in nero” è peggio.
Storia noiosa di un divorzio soporifero, che impiega più di 100 minuti a rendersi un minimo interessante (finalmente i fratelli criminali del tipo si ricordano di essere dei criminali). Il tutto in un mondo in cui i bianchi di pelle non esistono, a parte un avvocato e uno sceriffo, evidentemente scampati per distrazione alle selezioni dell’ufficio casting, e trovano spazio situazioni da fantascienza tipo lui che manda in bianco lei; oppure lei, che appena prima di giacere, dice a lui le tre parole più belle al mondo: “sarà solo sesso”.
Il vero dramma, a parte le interpretazioni attoriali raggelanti (anche in piena estate) di buona parte del cast, è la durata: 113 minuti. Un’enormità. Ci sarebbe pure da far notare la rapidità con cui viene messa da parte l’inevitabile vendetta finale (più o meno: “Ci vendicheremo”; “Non vi conviene”; “Ah, ok, ciao”) ma basta così per carità, abbiamo già parlato anche troppo di “Divorzio in nero”.
Divorzio in nero (Divorce in the black, 2024) – di Tyler Perry
Film a caso in pillole: Spinning man – Doppia colpa
Sembra carino perché ci sono tre attori carismatici (Guy Pearce, Pierce Brosnan e Minnie Driver chi?) e una curiosa fotografia obitoriale, ma non lo è. Innanzitutto è privo di ritmo, in secondo luogo ha un finale inutilmente cervellotico, terzo ma non ultimo l’indagine è sì vagamente interessante, ma piatta, e non riserva particolari sorprese.
Una ragazza scompare, i sospetti cadono su un professore di scuola con l’hobby delle studentesse.
I maggiori dubbi riguardano il titolo: è più brutto quello originale (L’uomo che gira) o quello italiano (Doppia colpa)?
Spinning man – Doppia colpa (Spinning man, 2018) – di Simon Kaijser