L’opportuna durata (un’ora e venti minuti) potrebbe farlo sembrare carino, allo stesso modo in cui il bianco e nero migliora qualsiasi film, ma non fatevi trarre in inganno: è bruttino. Anzi, ad essere precisi, è fatto male. La storia interessante, qui trattata con toni a metà fra il serio e il faceto, ci sarebbe: reporter sulla cresta dell’onda in realtà è un “pallonaro”, si inventa i servizi giornalistici.
L’attore che interpreta il cacciapalle è anonimo, in linea con una vicenda che saltella di qua e di là senza affondare il colpo (la difesa a oltranza dei capi meriterebbe un approfondimento, idem l’onere delle prove a carico di chi si accorge dei falsi), mortificata anche da una situazione generale difficile da “spacciare”: fin che ti inventi un reportage su un Paese del terzo mondo ok, ma quando ti inventi pari pari interviste, addirittura ai genitori di un famoso sportivo…dai su, non può mai stare in piedi una bugia del genere in epoca social.
Indecente il titolo italiano (La verità inventata), che cancella con un colpo di spugna il pertinente gergo giornalistico del titolo originale (Mille righe).
La verità inventata – A thousand lines (2022) – di Michael Herbig