Mettiamola così: ha 64 anni e si vedono tutti, sia nelle recitazioni “eccessive” (soprattutto quando si tratta di rabbia e disperazione), che oggi fanno sorridere, che nelle reazioni dei protagonisti a drammi e crimini, in nome dell’onore e dell’amore famigliare. Che oggi destano parecchie perplessità.
Tenuto conto del bianco e nero, della presenza di Alain Delon (ma Renato Salvatori gli tiene ampiamente testa), di una regia solida e di un paio di scene “forti”, non è difficile capire perché “Rocco e i suoi fratelli” faccia parte dell’elite della cinematografia, non solo italica. Ma è uno di quei film che non riguarderemmo mai, per nessun motivo al mondo, tenendo tra l’altro presente che dura la “bellezza” di tre ore (TRE ORE) e che abbiamo impiegato 2-3 giorni per vederlo tutto, a puntate. Tre ore che ci hanno riportato alla mente il discorso di Totò alle truppe, in “Totò contro Maciste”: “Spezzeremo le reni a Maciste e ai suoi compagni, a Rocco e ai suoi fratelli”.
La trama: cinque fratelli lucani, con madre al seguito, emigrano a Milano in cerca di lavoro e fortuna. Succederanno un po’ di cose, alcune interessanti, altre meno, nessuna comunque tale da giustificare centottanta minuti di durata.
Rocco e i suoi fratelli (1960) – di Luchino Visconti