Bisognerebbe ripescare uno di quei giudizi creativi che davano secoli fa a scuola, tipo “Appena non del tutto sufficiente”.
Veneciafrenia è impresentabile, anche se può non sembrarlo. O se preferite è affascinante, ma fatica a stare in piedi, pur trattandosi di un genere (horror) che non richiede logica ferrea.
Turisti spagnoli a Venezia si imbattono in un gruppetto di serial killer, pazzi criminali ma mossi da nobili motivazioni.
Partiamo dagli aspetti positivi: la durata (un’ora e mezza); la curiosità di vedere Enrico Lo Verso e Armando De Razza impegnati in un horror (promossi); alcune esecuzioni di buon livello; la satira feroce delle uccisioni davanti alla gente (ovviamente armata di telefonino), scambiate per pubblica messa in scena; i turisti definiti prima la peste poi il cancro di Venezia, così, con grande disinvoltura; l’idea di mescolare un horror alla protesta contro le grandi navi in laguna.
Veniamo a ciò che non convince: la prima mezz’ora insopportabile, col gruppetto di turisti spagnoli che bisticcia e gira per feste (non si vede l’ora di vederli macellati); Venezia strapiena di gente che per esigenze di copione si svuota e diventa improvvisamente deserta, per favorire un omicidio o un rapimento; a quanto pare nessun indagine sulla gente uccisa per strada, che non fa parte del gruppetto spagnolo; nessuno a cui venga in mente di rivolgersi immediatamente al taxista quando l’amico scompare e la polizia dubita della sua esistenza.
Arrivando al dunque: si può guardare? Se riuscite a reggere la prima mezzora e a non farvi domande per un’ora e mezzo, sì.
Veneciafrenia: follia e morte a Venezia (Veneciafrenia, 2021) – di Álex De la Iglesia